di Mauro De Sanctis
Massimo Bontempelli (1878-1960) è stato una delle figure principali e più controverse della vita politica e culturale del primo novecento italiano; nel panorama del tempo è fra quei letterati (insieme ai suoi amici intimi Alberto Savinio e Giorgio de Chirico) che si proponeva un rinnovamento della cultura letteraria italiana, indiscutibilmente influenzato dal movimento surrealista di André Breton.
La sua copiosa opera (narratore, giornalista, drammaturgo, traduttore, poeta, compositore), nonostante fosse seguita con molto interesse ed estimazione positiva da parte della critica, cadde in un vero e proprio stato di oblio.
Fortunatamente è da poco tornato in libreria - grazie alla neonata, raffinata ed ambiziosa casa Editrice Utopia di Milano, fondata durante il periodo della pandemia, che ha in corso di pubblicazione nei prossimi anni tutti i romanzi del Bontempelli - “Gente nel tempo”, pubblicato nel 1937, forse il più importante e ambizioso della sua carriera di scrittore.
Bontempelli passava spesso l’estate a Montignoso - presso la casa rossa della sua compagna, la scrittrice Paola Masino - come possiamo notare nelle splendide pagine di “Stato di Grazia” del 1931, nelle quali avvicina il lettore al paesaggio strappando queste immagini: “Tra le Apuane e il Tirreno è Versilia. La Versilia è la più cara regione d’Italia e non lo sa, tanto è semplice. Nemmeno a dirglielo ci fa caso. Riposa lunga tra il suo mare e il suo monte, ogni tanto si fa tutta rosea. Poi s’immerge in un’estasi cheta”. […] “La strada che conduce a Viareggio dalla parte di Pisa è la più bella del mondo. Il tratto tra Migliarino e Torre del Lago, è un giardino stregato. Platani, poi lecci, poi un breve tratto di acacie introduce al rettilineo dei regali cipressi”.
Bontempelli (a sx) sulla spiaggia della Versilia in compagnia di Arnoldo Mondadori (arch. Mondadori)
In altri luoghi Bontempelli usa la notte che cambia il paesaggio, lo rende carico di ambiguità: «Poi da Torre del Lago, tigli e pini e tigli ancora, con una sola breve mutazione alla Lecciona. Ma questa strada raggiunge il massimo della sua magia, della sua compatta follia, viaggiando di notte. Soprattutto i cipressi prendono dal lume delle stelle e dai fari della macchina una vita sublime e fredda, fatta di vertigine immobile”.
Un altro legame con il territorio della Versilia è rappresentato dal Premio Viareggio.
Rammentiamo che il ‘Viareggio’ apre in Italia la stagione dei grandi Premi letterari del Novecento. Dopo il ‘Premio Bagutta’, ideato da Orio Vergani nel 1926 tra le quattro mura di una trattoria milanese, il ‘Viareggio’ nasce in Versilia nel 1929 sulla spiaggia e “sotto un ombrellone” per iniziativa dei tre amici Leonida Rèpaci, Carlo Salsa e Alberto Colantuoni.
L’inaugurazione della prima edizione viene infatti presieduta da Massimo Bontempelli e il futuro premio Nobel, nonché amico intimo di quest’ultimo, Luigi Pirandello. Costui ebbe a dire di Massimo Bontempelli: “E’ un autore che filtra il mondo attraverso una lente unica. È il più originale di tutti”.
E’ altresì utile ricordare che il Bontempelli nel 1926 fonda insieme con Curzio Malaparte (altro personaggio preminente della vita culturale Versiliana, allora la più colta d’Europa) la rivista, dal taglio cosmopolita, 900’ Cahiers d'Italie et d'Europe, per la casa editrice La Voce.
Nel primo numero della rivista, uscito nel settembre 1926, dovrebbe tracciare il programma della rivista, ma prima di tutto esprime la sua poetica del “realismo magico” cercando di adeguarla alla posizione politica del periodo: “il compito più urgente e preciso del secolo ventesimo, sarà la ricostruzione del tempo e dello spazio”; “il secondo compito sarà il ritrovamento dell’individuo sicuro di sé, sicuro di essere sé con alcune certezze e responsabilità”. Ergo: ricostruzione della realtà esterna e della realtà individuale.
Come fare questo? “Unico strumento del nostro lavoro sarà l’immaginazione. […] Il mondo immaginario si verserà in perpetuo a fecondare ed arricchire il mondo reale […] immaginazione, fantasia: ma niente di simile al favolismo delle fate. Piuttosto che di fiaba, abbiamo sete di avventura. La vita più quotidiana e normale, vogliamo vederla come un avventuroso miracolo: rischio continuo, e continuo sforzo di eroismi o di trappolerie per scamparne”. Questi quindi i canoni del “realismo magico” come egli stesso li definì.
Il romanzo “Gente del tempo”, che abbiamo introdotto all’inizio, è considerato uno dei capolavori del realismo magico italiano. La prosa è caratterizzata da una lingua elegante, preziosa; la caratterizzazione dei personaggi è finemente dettagliata ed anche i profili intimistici, psicologici sono delineati con maestria.
Si narra la storia di una famiglia, i Medici, in un paesino dell’entroterra ligure, al cui comando è rimasta per molti anni la Gran Vecchia, una figura inquietante, meravigliosa, che muore all’inizio del romanzo. Siamo nell’anno in cui comincia il ‘900. Le redini della famiglia passano nelle mani di Silvano, suo figlio, che però si dimostra un inetto, così come la nuora e le due nipotine, Dirce e Nora. In realtà la Gran Vecchia, in punto di morte, frustrata per le sorti della sua disonorevole discendenza, maledice gli astanti con la frase “Del resto nessuno di voi morirà vecchio”. Negli anni successivi, ogni cinque anni, un membro della famiglia muore e coloro che sopravvivono cominciano a preoccuparsi perché si rendono conto che la profezia della vecchia non era una semplice battuta proferita prima di morire. È qui che si nota come il Bontempelli giochi con la psicologia dei personaggi: cosa succede all’uomo nell’attimo in cui scopre “il quando” deve morire? “Non importa morire, importa non sapere quando” afferma il canonico allorché interpellato sulla serie di sciagure occorse alla famiglia. Le conseguenze della vicenda sono drammatiche ma vi è anche un risultato comico finale, come spesso accade nell’assurdo della finzione e nella vita.