Col di Favilla: un paese che non vuole morire

La storia di un borgo che vive grazie alla memoria dei suoi ex abitanti

A cura de Gli Amici della Versilia

 

Occorre guardare al passato per meglio vivere il presente.
Sono sempre più convinto che sia davvero così. Viviamo in una società che tende a cancellare individualità e identità, che spesso omologa e fa perdere le radici che ci rendono autentici.

Il passato però ha lì a disposizione tanti maestri pronti, a loro modo, a trasmetterci valori e insegnamenti che credevamo ormai perduti.

La chiesina del Col di Favilla

Recentemente ho scovato fra questi fedeli tutori, un luogo, ormai abbandonato da tempo ma i cui ricordi vivono ancora nel cuore di molti.

Forse avete già sentito parlare del Col di Favilla. Se così non fosse dovete sapere che questo paese incastonato nel cuore delle Alpi Apuane nel Comune di Stazzema è stato per diverso tempo un villaggio abitato che ha contribuito a suo modo all’identità storica della Versilia.

Questo piccolo borgo ha ormai la denominazione di “fantasma”, ma la realtà è ben diversa: Col di Favilla è un paese che non vuole scomparire e che grazie ai suoi ex abitanti continua a tener vive le proprie origini.

I percorsi per arrivarci sono diversi ma esclusivamente a piedi. Uno di questi, probabilmente quello più semplice, parte da Isola Santa con il sentiero CAI n. 9 e in circa 1.45 h ci porta a destinazione.

L’indicazione del sentiero n. 9 CAI che conduce al paese

Il paese deve il suo nome alle scintille, in dialetto “faville”, che provenivano dal colle durante l’attività delle carbonaie, un metodo antico attraverso il quale si produceva carbone di legna, uno dei principali sostentamenti degli abitanti.

Quando si arriva al Col di Favilla ci si ritrova in un’atmosfera perduta, gli edifici sono testimoni di una comunità, quella dei “Collettorini”, così si facevano chiamare, profondamente attaccata ai propri valori.

Un paese vivo in cui la preoccupazione più grande era quella di non fare del male agli altri.
Dove tutti si conoscevano e ognuno era disposto a rinunciare a qualcosa di sé stesso pur di aiutare qualcun altro.

Col di Favilla era un paese di personaggi: Don Cosimo Silicani il sacerdote che amava profondamente il villaggio e che coltivava la passione per la poesia; Rosina l’ostetrica, che con scrupolo si adoperava al meglio per assistere le donne che dovevano partorire.
Agostino Babboni e Eliseo Poli pronti ad aiutare gli escursionisti in pericolo non tanto per il gusto di una ricompensa, ma perché andava fatto; i ragazzini e le ragazzine che non potendo contare su grandi introiti da parte dei genitori si adoperavano per trovare giochi con quello che avevano, consolandosi con del balloccoro (un dolce che consisteva in farina di castagne pressata) che immaginavano fosse cioccolato. O Liduina Babboni che il colle lo ha amato a tal punto da scriverci un libro.

Un istantanea di vita passata del Col di Favilla (tratta dal libro "Le Alpi apuane un piccolo grande mondo" di Bruno Giovannetti)

A Col di Favilla nessuno poteva sentirsi inutile, incapace, perché con un po’ di buona volontà le cose da fare c’erano, e ognuno a modo suo poteva contribuire a rendere quella comunità un posto ancora migliore.
Il lavoro era di certo tanto, le difficoltà sicuramente molteplici, ma la vita si affrontava con il sorriso perché si era felici di ciò che si aveva, pur poco che fosse.

Dal vestitino che le ragazze potevano comprare dopo aver lavorato un’intera stagione cogliendo castagne, alla tanta attesa festa di Sant’Anna, fino alle urla per una vittoria a morra nella locanda di paese o per una canzone che si inventava durante le faccende domestiche.

La loro storia ci lascia l’importanza di imparare a vivere i momenti presenti pur semplici che siano.
Col di Favilla è un paese ormai disabitato ma che di morire proprio non ne vuol sapere. Parlando con Valter, figlio di un ex abitante del Colle e ora socio dell’Associazione che si occupa di proteggere il patrimonio storico del paese, si capisce quanto sia ancora legato a quel luogo e agli insegnamenti che porta.

Nonostante gli anni e – purtroppo - gli atti di persone che non sempre hanno capito il valore di questo luogo, Valter e i suoi ex abitati non hanno mai smesso di fare il possibile per preservare con impegno quello che resta di Col di Favilla trasmettendo tutto ciò anche ai propri figli.

Ancora oggi è possibile visitare il paese e spesso durante l’anno Valter e i suoi parenti organizzano eventi per raccogliere risorse con l’obiettivo di mantenere in buono stato le strutture.

La festa di Sant’Anna si tiene nel mese di luglio (quest’anno il 23), e ci ricorda un tempo che fu ma che non vorremmo sparisse mai, perché forse se luoghi come questo esistono ancora è probabilmente per ricordarci quanto sia vero il proverbio che recitava… si stava meglio quando si stava peggio!

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